Nel contesto del congresso dell’Italian Group of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD) Johnson & Johnson ha diffuso dati interessanti su guselkumab, il primo anticorpo monoclonale completamente umano diretto selettivamente contro la subunità p19 dell’IL-23 che continua a dimostrarsi una terapia efficace e sicura sia nella colite ulcerosa sia nella malattia di Crohn.
Guselkumab è anche l’unico anticorpo monoclonale anti IL-23 a doppia azione, progettato per neutralizzare l’infiammazione alla fonte cellulare bloccando l’IL-23 e legandosi al CD64, un recettore presente sulle cellule che producono l’IL-23 stesso.
In Italia, il farmaco è attualmente disponibile per il trattamento della psoriasi a placche da moderata a severa in pazienti adulti candidabili a terapia sistemica e dell’artrite psoriasica attiva in pazienti adulti che hanno avuto risposta inadeguata o che hanno mostrato intolleranza a precedente terapia con farmaci antireumatici modificanti la malattia.
Inoltre, guselkumab è in fase di valutazione da parte di EMA per il trattamento di pazienti adulti con colite ulcerosa e malattia di Crohn da moderata a grave.
I dati più recenti su guselkumab presentati al congresso IG-IBD riguardano lo studio QUASAR nella colite ulcerosa e gli studi di fase 3 GALAXI 2-3 e GRAVITI nella malattia di Crohn.
Nel complesso, guselkumab ha mostrato che un paziente su due tra i naïve ai trattamenti biologici e un paziente su tre tra i refrattari giungono a remissione endoscopica.
Per la malattia di Crohn i risultati indicano guselkumab come unico anti IL-23 dimostratosi superiore a ustekinumab in un trial registrativo nel trattamento di pazienti con malattia di Crohn sia naïve sia refrattari ai trattamenti biologici.
Inoltre, suggeriscono che guselkumab potrebbe diventare il primo inibitore dell’IL-23 a poter essere somministrato in modalità sia endovenosa sia sottocutanea.
Studio QUASAR: la colite ulcerosa
QUASAR è un programma di studi multicentrici di fase 2b/3 randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo, a gruppi paralleli, disegnato per valutare l’efficacia e la sicurezza di guselkumab in pazienti adulti con colite ulcerosa attiva da moderata a severa con una risposta insoddisfacente o intolleranti alla terapia convenzionale (per esempio, tiopurine o corticosteroidi), ad altri biologici e/o JAKi (cioè antagonisti di TNF-alpha, vedolizumab o tofacitinib).
Secondo i risultati più recenti, presentati allo scorso congresso della United European Gastroenterology, guselkumab ha dimostrato maggiori tassi di remissione endoscopica rispetto al placebo alla 44a settimana in pazienti con colite ulcerosa naïve ai trattamenti biologici.
La remissione endoscopica è stata raggiunta nel 38,1% dei pazienti trattati con guselkumab 100 mg SC ogni 8 settimane (q8w) e nel 41,7% dei pazienti trattati con guselkumab 200 mg SC ogni 4 settimane (q4w), rispetto al 20,4% dei pazienti trattati con placebo (3).
Allo stesso modo, la terapia a base di guselkumab è stata associata a tassi maggiori di remissione endoscopica anche nei pazienti refrattari alle terapie biologiche.
Nello specifico, la remissione endoscopica è stata raggiunta nel 31,2% dei pazienti trattati con guselkumab100 mg SC q8w e nel 23,9% dei pazienti trattati con guselkumab200 mg SC q4w, rispetto all’8% dei pazienti trattati con placebo.
«I dati dello studio QUASAR evidenziano l’efficacia di guselkumab nell’indurre e mantenere una remissione clinica duratura, raggiungendo al contempo endpoint chiave come la remissione endoscopica e il miglioramento isto-endoscopico della mucosa.
Questi risultati rappresentano il tipo di progresso necessario nei nuovi trattamenti per questa malattia infiammatoria intestinale, suggerendo che guselkumab potrebbe essere una terapia promettente per pazienti con colite ulcerosa, offrendo sollievo da sintomi disabilitanti che compromettono la qualità della loro vita quotidiana», commenta Alessandro Armuzzi, professore ordinario di Gastroenterologia alla Humanitas University e responsabile della UO di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (MI).
Studi GALAXI 2-3 e GRAVITI: malattia di Crohn
GALAXI 2 e GALAXI 3 sono due studi di fase 3 indipendenti, dal disegno sperimentale identico, della durata di 48 settimane, entrambi con un periodo di estensione a lungo termine in corso, che hanno incluso pazienti con malattia di Crohn da moderata a severa che non avevano risposto o erano diventati intolleranti alla terapia convenzionale (immunomodulatori o corticosteroidi) o alla terapia biologica (antagonisti del TNF o vedolizumab). I regimi di dosaggio testati sono stati 100 mg SC q8w e 200 mg SC q4w.
Da una pooled analysis, i cui dati più aggiornati sono stati presentati sempre durante lo scorso congresso UEG, è emerso che guselkumab ha dimostrato tassi di remissione endoscopica maggiori rispetto a ustekinumab alla settimana 48 nei pazienti con malattia di Crohn naïve ai trattamenti biologici.
La remissione endoscopica è stata raggiunta nel 44% dei pazienti trattati con guselkumab 100 mg SC q8w e nel 46,1% dei pazienti trattati con guselkumab 200 mg SC q4w, rispetto al 29,8% dei pazienti trattati con ustekinumab.
Nei pazienti con malattia di Crohn refrattari ai farmaci biologici la remissione endoscopica è stata raggiunta nel 28,1% dei pazienti trattati con guselkumab 100 mg SC q8w e nel 28,6% dei pazienti trattati con guselkumab 200 mg SC q4w, rispetto al 20,5% dei pazienti trattati con ustekinumab.
«Questi risultati evidenziano il potenziale di guselkumab come opzione terapeutica differenziante per i pazienti con malattia di Crohn, sia chi inizia per la prima volta un trattamento biologico sia per i pazienti che hanno fallito terapie biologiche precedenti e che tradizionalmente presentano una minore probabilità di rispondere ad altre opzioni terapeutiche», dichiara Silvio Danese, direttore dell’Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’Irccs Ospedale San Raffaele e professore ordinario di Gastroenterologia all’Università Vita-Salute San Raffaele.
«Sono risultati incoraggianti che dimostrano che guselkumab è una terapia promettente, con il potenziale di rispondere alle esigenze di pazienti sia in linee precoci sia in linee più avanzate di trattamento».
GRAVITI è uno studio di fase 3 randomizzato in doppio cieco che ha valutato la terapia di induzione con guselkumab SC (400 mg somministrato alle settimane 0, 4 e 8) in pazienti con malattia di Crohn da moderata a grave. Come nel caso degli studi GALAXI 2-3, la dose di mantenimento è stata pari a 200 mg SC q4w e 100 mg SC q8w.
I dati più recenti presentati al congresso dell’American College of Gastroenterology, evidenziano che guselkumab già a partire dalla quarta settimana mostra una differenza significativa nel tasso di remissione clinica ottenuta rispetto al placebo.
In particolare, per la terapia d’induzione alla settimana 12 il 56,1% dei pazienti trattati con guselkumab ha raggiunto la remissione clinica rispetto al 21,4% dei pazienti ai quali è stato somministrato il placebo. Inoltre, il 44,3% dei pazienti nel gruppo guselkumab ha ottenuto una risposta endoscopica, rispetto al 21,4% del placebo.
Per quel che riguarda la fase di mantenimento alla settimana 48, il tasso di remissione clinica è stato di oltre tre volte superiore con entrambe le dosi di mantenimento di guselkumab rispetto al placebo (60% per 100 mg SC q8w e 66,1% 200 mg SC q4w rispetto al 17,1% del placebo).
La risposta endoscopica è stata raggiunta nel 44,3% e nel 51,3% dei pazienti nel gruppo guselkumab 100 mg SC q8w e 200 mg SC q4w, rispettivamente, contro il 6,8% del gruppo placebo.
La remissione endoscopica, infine, è stata raggiunta nel 30,4% e nel 38,3% dei pazienti del gruppo guselkumab 100 mg SC q8w e 200 mg SC q4w rispettivamente, rispetto al 6% del gruppo placebo.