Promosso a Roma nella giornata del 26 febbraio da Motore Sanità, il Rare Disease Day 2025 ha rappresentato una giornata di confronto tra attori istituzionali, clinici, ricercatori e associazioni di pazienti. Tanti i temi affrontati: dalla necessità di potenziare la ricerca e la produzione di farmaci orfani, all’importanza di lavorare insieme e implementare le reti; dal bisogno di migliorare la formazione dei professionisti, anche non specialisti, per ridurre le tempistiche per la diagnosi alle nuove opportunità offerte da genomica, digitalizzazione e IA.
Il mondo delle malattie rare negli anni ha tagliato importanti traguardi, ma numerose restano le aree da implementare per migliorare la presa in carico, la cura e l’assistenza ai pazienti rari.
«Le malattie rare sono un tema importante nelle politiche sanitarie pubbliche», ha sottolineato il sen. Antonio Tomassini intervenuto in apertura dei lavori, «ma se ne parla molto solo in occasioni come questa. Personalmente, me ne sono occupato per la prima volta nel 2008 e da allora molto è stato fatto anche se c’è ancora strada da percorrere.
È importante, per esempio, dare attenzione alle differenze di genere. Da ginecologo, voglio ricordare che le donne malate sono più numerose degli uomini e serve una particolare attenzione, soprattutto per i farmaci.
Serve anche una maggiore concretezza: l’appoggio alla ricerca in questo ambito è fondamentale. Va quindi potenziato il meccanismo di rete, la digitalizzazione e il ruolo dell’IA, molto applicabili in questo campo. La ricerca, la rete, la produzione dei farmaci sono le tre leve su cui agire.
AIFA ha dimostrato durante il Covid di poter accelerare con meccanismi di fast track. Da ultimo vanno rafforzate le autonomie regionali anche se alcune materie devono essere gestite a livello centrale. Tra queste: le trasfusioni, le malattie rare, l’innovazione tecnologica e quella farmaceutica».
Promuovere ricerca e investimenti attraverso la defiscalizzazione
Sul tema della ricerca e della produzione di farmaci orfani – molto onerosa e poco profittevole per le aziende – è tornato anche il sottosegretario alla Salute con delega alle Malattie Rare, Marcello Gemmato, che dopo aver ricordato gli importanti traguardi raggiunti – dal CoNaMar al Piano Nazionale Malattie Rare al suo finanziamento – ha annunciato un decreto attuativo alle battute finali sulla defiscalizzazione per la ricerca nel settore delle malattie rare e per le aziende che investono in nuovi farmaci orfani.
«Per la ricerca abbiamo stanziato 18 milioni di euro per 48 progetti nell’ultimo quinquennio e nel PNRR ci sono ulteriori 118 milioni per 128 progetti; con riguardo ai farmaci orfani: su 146 approvati dall’EMA, 116 sono rimborsati dal SSN (80%) e gli altri sono in fascia C o in fase di contrattazione».
Gemmato ha quindi sottolineato che «per la migliore presa in carico del paziente è centrale la formazione affinché i medici e gli operatori riconoscano subito la malattia e possano instradarlo nel PDTA più adeguato».
La rivoluzione della genomica
A puntare l’attenzione sull’innovazione – dalla genomica alla digitalizzazione fino all’IA – è stato Giorgio Perilongo, ordinario di Pediatria e coordinatore del dipartimento funzionale Malattie Rare Aou di Padova, che ha sottolineato il momento di particolare fermento per il settore.
«La sequenza del genoma conseguito dal 1990 in poi ha aperto nuovi scenari. L’altra forza su cui puntare per curare bene le malattie rare è la digitalizzazione della medicina e l’IA. La Genomica clinica è una innovazione tecnologica che evolve e si confonde con la ricerca.
Un elemento essenziale per arrivare alla diagnosi di certezza di malattia e per mettere a punto cure di precisione incrociando anche specialisti di fisica, matematica e altre discipline cliniche, genetiche ma anche gestionali per la sostenibilità.
Serve un dialogo proficuo tra clinici, genetisti, amministratori e manager, per giungere alla corretta e tempestiva diagnosi perché il paziente dopo la diagnosi vuole capire i meccanismi molecolari, avere una prognosi, comprendere il rischio eredo-familiare e ottenere farmaci a bersaglio terapeutico e se è eleggibile a nuovi trattamenti».
Non a caso si parla di odissea diagnostica, dal momento che il ritardo diagnostico per i pazienti con malattia rara oscilla dai 4 ai 7 anni.
«La sfida della genomica clinica», ha proseguito Perilongo, «è infrastrutturale, organizzativa, applicativa, gestionale, finanziaria. A questa complessità il Piano nazionale malattie rare prova a dare delle risposte inserendo una serie di prestazioni e PDTA nei Lea, monitorando e programmando l’offerta di cure e dotando di risorse il Piano stesso con piattaforme ad alta tecnologia, promuovendo sinergie per il trasferimento tecnologico e l’integrazione tra pubblico e privato. Un pezzo del lavoro è già stato fatto e un altro è ancora da compiere nei prossimi due anni».
La crucialità delle reti: la rivoluzione delle ERN
A sottolineare l’importanza e l’approccio rivoluzionario delle ERN – European Reference Networks for Rare Diseases, è stato Maurizio Scarpa, professore di Pediatria presso l’Università di Padova e responsabile del centro di coordinamento regionale Malattie Rare della Regione Friuli-Venezia Giulia, che ne ha ricordato l’avvio nel 2016 seguito, nel 2017, dall’endorsement della Commissione Europea. Il network può contare oggi su 24 reti per 1.600 ospedali in Europa, di cui 360 unità in Italia.
Per le malattie rare, la formazione dei professionisti risulta cruciale, è stato sottolineato; per questo si stanno mettendo a punto delle linee guida e tre programmi a livello di ERN: L’enciclopedia delle malattie rare, con corsi atti a promuovere una formazione scientifica che vede anche il coinvolgimento dei pazienti; il programma Erasmus delle malattie rare; un semestre da inserire nell’ambito della formazione degli studenti dei corsi di medicina, essenziale ad indurre il sospetto diagnostico anche in coloro che non sono specialisti di settore – come MMG e PLS – e velocizzare i tempi di diagnosi.
Formazione, tassello imprescindibile
A puntare i fari sulla formazione è tornato Giuseppe Limongelli, professore presso il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università della Campania Vanvitelli, Unità Malattie Rare Cardiovascolari del Monaldi di Napoli e responsabile del Centro di coordinamento Malattie Rare della Regione Campania.
«La formazione dei professionisti, dai medici di base, ai pediatri, agli specialisti è l’ingrediente segreto ed essenziale di una rete malattie rare di successo ed è uno dei compiti principali del Comitato nazionale Malattie rare, che da poco ha avviato con la Conferenza dei rettori e i Centri di coordinamento regionali, un monitoraggio delle attività di formazione a livello nazionale.
Non esiste sospetto senza conoscenza e non esiste conoscenza senza formazione che deve essere orientata alla conoscenza dei campanelli di allarme o red flags. Parliamo di segni clinici e strumentali o sintomi che messi insieme spesso nascondono un complesso puzzle da comporre per fare diagnosi di una patologia rara».
Il sospetto è quindi il punto di partenza per indirizzare rapidamente il paziente verso i centri di riferimento, dove può trovare una risposta articolata dal punto di vista diagnostico e di presa in carico, oltre ad un trattamento specifico per la patologia da cui è affetto.
Il progetto ARGO
«Abbiamo recentemente avviato», ha ricordato ancora Limongelli, «un progetto nazionale chiamato Argo, come il cane di Ulisse, perché le persone con malattia rara, spesso, vivono un’odissea diagnostica».
Si tratta di un’iniziativa che mette insieme i maggiori esperti nazionali e i centri di coordinamento ragionali e intende definire gli indicatori o markers che possano far scattare il sospetto di malattia rara, contribuendo a ridurre il ritardo diagnostico che talvolta supera anche i 7-10 anni, riducendo le possibilità di trattamento.
«Spesso», ha concluso Limongelli, «quando si arriva alla diagnosi è troppo tardi. Con Argo vogliamo cambiare questo paradigma, in un momento storico in cui la tecnologia favorisce il raggiungimento di una diagnosi precoce e abbiamo trattamenti sempre più avanzati per le persone con malattia rara».
Limongelli ha ricordato Motorare, promosso in collaborazione con FIASO, il cui obiettivo è coinvolgere anche le classi dirigenti in percorsi formativi proprio alla luce del loro ruolo cruciale nella programmazione dell’assistenza.
Epilessie rare e criticità dei pazienti
Nell’ambito della giornata di lavori è stato messo sotto la lente anche il caso delle epilessie rare, che interessano tra i 25 e i 50 mila pazienti in Italia su circa 600 mila affetti da epilessia, la maggioranza dei quali farmacoresistenti. Si tratta di pazienti a esordio pediatrico con disturbi motori, cognitivi e comportamentali che incontrano difficoltà nell’inserimento scolastico e lavorativo.
«I casi di epilessie rare a esordio pediatrico resistenti ai trattamenti con i tradizionali farmaci anticrisi», ha sottolineato Oriano Mecarelli, già professore del Dipartimento di Neuroscienze Umane della Sapienza di Roma e attualmente presidente della Fondazione Epilessia Lice (Lega Italiana contro l’epilessia, società scientifica che raccoglie circa 1300 specialisti epilettologi in Italia),«rimandano a un dato epidemiologico sottostimato (manca un registro nazionale) e affrontato in maniera non sempre corretta. Parliamo di un ambito complesso che richiede competenze multispecialistiche e multiprofessionali con risvolti sociali molto impegnativi sul piano clinico, assistenziale e sociosanitario.
È necessario puntare sul miglioramento delle reti di assistenza, oggi adeguate solo in grossi hub, ma meno nelle zone periferiche, con livelli di eccellenza non omogenei su tutto il territorio nazionale. C’è poi l’urgenza di realizzare e consolidare i rapporti tra centri ospedalieri e territoriali in grado di interconnettere il governo della Salute con quello delle Politiche sociali, considerato che queste ultime hanno un ruolo importante nel sostegno delle famiglie e dei caregiver».
La giornata di lavori ha beneficiato del patrocinio tra gli altri di Io Raro, dell’Anacc – Associazione nazionale angioma cavernoso cerebrale, Federasma e allergie, Alama Aps – Associazione liberi dall’Asma, allergie e malattie rare, e dell’azienda ospedale Università di Padova con il contributo incondizionato di Novartis, Takeda, Biogen e Kyowa Kirin.