Ivosidenib, target therapy che tratta colangiocarcinoma e leucemia mieloide acuta

Ivosidenib, prima e unica target therapy, a somministrazione orale, è disponibile anche in Italia con indicazione al trattamento del colangiocarcinoma e della leucemia mieloide acuta con mutazione nel gene IDH1.
Una opzione terapeutica che rappresenta un importante traguardo dell’oncologia di precisione e una speranza per i pazienti affetti da queste neoplasie che presentano numerosi unmet medical need in termini di tempestività della diagnosi e terapeutici.

Ivosidenib

È una nuova terapia a bersaglio molecolare: un inibitore, potente e selettivo, dell’enzima isocitrato deidrogenasi 1 (IDH1) mutato, responsabile del blocco della differenziazione cellulare e dello sviluppo di neoplasie ematologiche e non ematologiche.
È infatti coinvolto nel processo di oncogenesi di molti tumori. Ivosidenib ha ottenuto la designazione di farmaco orfano per il trattamento della leucemia mieloide acuta (LMA) e del colangiocarcinoma (CCA), con due indicazioni: 

  • nella LMA con mutazione di IDH1, in associazione con azacitidina, per il trattamento di pazienti adulti di nuova diagnosi non idonei per la chemioterapia intensiva di induzione standard, più eventuale trapianto di midollo,
  • nel CCA localmente avanzato o metastatico, caratterizzato da mutazione di IDH1, in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti che abbiano già ricevuto almeno una linea di terapia sistemica.

L’efficacia

Ivosidenib ha dimostrato efficacia terapeutica nel cluster di pazienti e secondo le modalità precisate, in due trail clinici:

  • Per LMA lo studio AGILE: studio clinico globale di fase 3, multicentrico, in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo. Pazienti trattati con ivosidenib in associazione con azacitidina mostrano miglioramenti statisticamente e clinicamente significativo della sopravvivenza globale mediana pari a 24 mesi rispetto ai 7,9 mesi osservati nel gruppo trattato con ivosidenib e placebo. Circa il 50% dei pazienti ha fatto osservare una remissione completa (CR), con mantenimento a un anno, nel 90% dei casi.
    Ulteriori risultati importanti: quasi il 50% dei pazienti trasfusione-dipendenti al basale ha raggiunto l’indipendenza dalle trasfusioni di globuli rossi e piastrine rispetto al 17,5% nel braccio placebo in combinazione con azacitidina (p=0.006). In generale, tutti i pazienti in trattamento combinato hanno registrato una stabilizzazione della qualità di vita e, in alcuni casi, miglioramenti clinicamente rilevanti rispetto al gruppo di confronto.
    «La leucemia mieloide acuta è una malattia ematologica insidiosa e ancora complessa da trattare», dichiara Adriano Venditti, direttore dell’Ematologia presso la Fondazione Policlinico Tor Vergata di Roma. «Tuttavia, per i pazienti adulti con nuova diagnosi e mutazione IDH1, non eleggibili alla chemioterapia di induzione standard, l’approvazione di ivosidenib rappresenta una innovativa opportunità terapeutica».
  • Per CCA, lo studio ClarIDHy: primo e unico studio randomizzato di fase 3 condotto sul cluster di pazienti con malattia avanzata IDH1-mutato precedentemente trattato. I risultati mostrano una sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana di 2,7 mesi per i pazienti in trattamento rispetto a 1,4 mesi per quelli nel gruppo placebo.
    Inoltre, il 32% e il 22% dei pazienti randomizzati a ivosidenib sono rimasti liberi da progressione o morte rispettivamente a 6 e 12 mesi, mentre nessun paziente nel braccio placebo ha raggiunto questi risultati.
    Buono il profilo di tollerabilità con reazioni avverse nella gran parte limitate ad affaticamento, nausea, dolore addominale, diarrea, diminuzione dell’appetito, ascite, vomito, anemia e eruzione cutanea.
    «La terapia», spiega Lorenza Rimassa, professore associato di Oncologia Medica presso Humanitas University e Irccs Humanitas Research Hospital, «ripristina un controllo sulla crescita tumorale, rallentando significativamente la progressione della malattia, stabilizzandola. Questo si traduce in un prolungamento della sopravvivenza e, soprattutto, nel mantenimento di una buona qualità di vita, grazie all’elevata tollerabilità del farmaco».

La diagnosi

La sola istologia, nella medicina/oncologia di precisone e quindi anche nella diagnostica di precisione non è più sufficiente; è necessario eseguire anche una profilazione molecolare, oggi possibile grazie a raffinate tecnologia, come il sequenziamento, la PCR (proteina C-Reattiva) e soprattutto l’NGS (Next Generation Sequencing) che permette un’analisi dettagliata e simultanea di numerosi geni, ovvero di numerose alterazioni in più geni con un solo test, fornendo importanti informazioni per la prognosi e la terapia dei pazienti, quindi una più adeguata programmazione della strategia terapeutica.

I test NGS permettono così di ridurre le tempistiche di analisi e la quantità di tessuto tumorale necessaria per la caratterizzazione molecolare e allo stesso tempo di identificare in modo tempestivo e accurato le mutazioni actionable, come quelle del gene IDH1.

«L’utilizzo delle tecniche di NGS è fortemente raccomandato in tutti i casi in cui si debbano determinare diverse alterazioni genomiche, ad esempio, la presenza della mutazione IDH1 è associata a una prognosi ancor più sfavorevole», conclude Nicola Normanno, direttore scientifico dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori IRST Dino Amadori Irccs, «ma dove la prognosi può essere profondamente modificata dalla disponibilità di inibitori specifici.
Grazie a ivosidenib possiamo offrire ai pazienti una terapia target che agisce su un meccanismo molecolare comune a due patologie molto diverse tra loro, ampliando significativamente l’orizzonte delle possibilità terapeutiche».

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