Gestire la fibrillazione atriale in aree rurali: una proposta australiana

Si stima che circa l’1-2% della popolazione italiana soffra di fibrillazione atriale, condizione che colpisce soprattutto dopo i 40 anni, con una prevalenza che cresce con l’età. Spesso i primi episodi sono brevi e rientrano da soli. In molti casi, però, tornano a presentarsi nel tempo in maniera sempre più consistente, richiedendo un intervento medico.

Il principale rischio della fibrillazione atriale è l’eventualità d’incorrere in altre patologie, come ictus cerebrale, insufficienza cardiaca, insufficienza respiratoria e morte prematura.

Premettendo che questa patologia tende a cronicizzare e a rispondere poco alle terapie farmacologiche, quando queste vengono prescritte è importante che il paziente le segua in modo corretto.
Secondo l’OMS solo il 50% di chi riceve una terapia per patologia cronica non trasmissibile, quindi anche la fibrillazione atriale, aderisce al percorso terapeutico in modo corretto. Diventa quindi importante sviluppare protocolli capaci di raggiungere i pazienti con fibrillazione atriale, monitorarne l’aderenza terapeutica e, se necessario, motivarli.

Il protocollo proposto

Come spesso accade quando si parla di cronicità, le difficoltà che si riscontrano in Italia sono presenti anche in altre nazioni.

Un recente studio testimonia, per esempio, la difficoltà dell’Australia nel garantire aderenza terapeutica ai pazienti con fibrillazione atriale che vivono nelle aree non urbane. Lo studio si concentra in particolare sugli anticoagulanti e sugli anti-aritmici, le categorie di farmaci prescritte per la fibrillazione atriale.

Una volta verificato che chi non abita nelle aree metropolitane ha un rischio maggiore di assumere meno principio attivo di quello necessario, gli autori hanno ideato un protocollo per garantire l’accesso rapido a una clinica dedicata alla fibrillazione atriale (RAAF, nello studio) che coinvolge il farmacista ospedaliero e il medico locale.

La RAAF prevede appuntamenti in tele-medicina con un farmacista e consulti in presenza con un medico. L’obiettivo della clinica è di riuscire a visitare i pazienti con nuova diagnosi entro i 14 giorni dalla stessa. Lo studio è stato condotto in un grande centro regionale dello stato di Victoria. I risultati sono stati ottenuti in termine di tempo di accesso alla prima visita post-diagnosi e accettazione da parte dei pazienti.

Il protocollo favorisce un rapido accesso alle cure

Nel periodo di riferimento considerato dallo studio sono stati 312 i pazienti inviati alla RAAF, per un totale di 268 visite in tele-medicina con il farmacista e 412 appuntamenti in presenza con il medico. Il tempo medio intercorso tra la diagnosi e l’accesso al RAAF è stato di 14 giorni, quindi entro i valori desiderati dagli autori dello studio.

Ci sono altri dati interessanti da valutare. Il primo riguarda la percentuale di pazienti ad alto rischio di incorrere in ictus che hanno iniziato la terapia con anticoagulanti, passata dall’88% pre introduzione della clinica al 97% successivo. Di pari passo all’aumento dell’uso degli anticoagulanti si osserva una diminuzione di quella degli antiaritmici, passati dal 76% al 73%, con un 35% di pazienti che hanno avuto bisogno di cambiare terapia, cosa possibile grazie all’intervento del farmacista e del medico.

Il servizio ha ricevuto un giudizio positivo dai partecipanti, in parte per la preparazione dei professionisti coinvolti, in parte per l’organizzazione della clinica e, infine, per la qualità del flusso di lavoro. Gli autori sono soddisfatti di questi numeri e promettono un miglioramento nella gestione della fibrillazione atriale nelle aree non metropolitane del Paese.

Studio: Livori AC, Kuruppumullage R, Simmons M, Langford A, Ademi Z, Bell JS, Dimond R, Morton JI. Evaluating the implementation of a rapid access atrial fibrillation clinic utilising a pharmacist-physician model of care. Res Social Adm Pharm. 2025 Mar 6:S1551-7411(25)00072-5. doi: 10.1016/j.sapharm.2025.03.005. Epub ahead of print. PMID: 40102069.

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