Mielofibrosi: approvata una nuova terapia oncologica

C’è un tumore raro del sangue che colpisce in prevalenza tra i 60 e i 70 anni d’età, che si manifesta inizialmente con sintomi simil-influenzali e dimagrimento non dipendente da cambiamenti alimentari: è la mielofibrosi, che colpisce circa 350 persone l’anno in Italia.

A un esame più approfondito, questi pazienti presentano anche anemia e ingrossamento della milza. Fino a poco tempo fa la sola terapia possibile per questi soggetti era il trapianto di midollo, con la complessità di dover individuare un donatore compatibile. Ora c’è però un nuovo farmaco orale approvato, momelotinib, inibitore di JAk1/JAK2.

Quando si può utilizzare? La determina degli enti regolatori è chiara: “per il trattamento della splenomegalia o dei sintomi correlati alla malattia in pazienti adulti con anemia da moderata a severa che sono affetti da mielofibrosi primaria, mielofibrosi post policitemia vera o mielofibrosi post trombocitemia essenziale e che sono naïve agli inibitori della chinasi Janus (JAK) o già trattati con ruxolitinib”.

Negli studi approvati, pubblicati su diverse riviste scientifiche nel corso del 2024, il farmaco si è rivelato utile, per esempio, per contrastare l’avanzamento dell’anemia e ridurre il numero di trasfusioni necessarie, con risparmio di tempo e risorse anche per il sistema sanitario nazionale (Cancers – Doi: 10.3390/cancers16234067 e Doi: 10.3390/cancers16234064). In questi studi gli effetti ottenuti con momelotinab sono stati confrontati con quelli ottenuti con ruxolitinib.

Certo, siamo ancora agli inizi e molto è ancora da fare, ma almeno questi pazienti possono nutrire qualche speranza di guarigione e, nel frattempo, migliorare la propria qualità di vita. Necessaria, per assumere la nuova terapia, è avere la mutazione V617F in JAK2, che caratterizza circa la metà dei pazienti con mielofibrosi.

L’iter della malattia

Spesso quando viene effettuata la diagnosi oncologica il paziente presenta già un’anemia da lieve a moderata, destinata comunque a peggiorare. Inoltre il midollo osseo è spesso già fibroso e la milza è già ingrossata, questo perché ci vogliono anni prima che la patologia si manifesti. Prima lavora lentamente, sottotraccia.

Anche se l’andamento della patologia dipende dal paziente, la letteratura ci dice che se l’anemia progredisce fino a richiedere le trasfusioni, la prognosi diventa sfavorevole e la sopravvivenza ridotta.

Rallentare la progressione dell’anemia, o comunque ridurre la necessità di trasfusione, è quindi un passo terapeutico importante. Ancora non sappiamo se il farmaco potrà determinare la guarigione dalla patologia oncologica, ma intanto potrebbe migliorare la qualità di vita del paziente e diminuirne il carico terapeutico.

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